Robot ad uso domestico, a portata di tutti, integrati come fossero veri esseri umani, prestati in quelle mansioni che gli uomini non sono più disposti a fare o che, più semplicemente, potranno essere svolti automaticamente.

Questo non è soltanto lo scenario del noto film “Io, Robot”, questo è il futuro. Se nel 2004 questo sfondo ambientato nel 2035 sembrava surreale, quasi impossibile, oggi questa convinzione comincia a vacillare.

Le tecnologie, sempre più all’avanguardia, arricchite da fantasia e inventiva, stanno progredendo ad una velocità  con cui è quasi impossibile stare al passo. Se questo immaginario di robot in giro per il mondo ad aiutare gli uomini in difficoltà o ad occupare posti di lavoro relativamente ordinari sembrava fantascienza, ora è solo questione di anni.

Ad affermarlo lo scienziato e imprenditore Jerry Kaplan, esperto di intelligenza artificiale. Sui suoi futuri sviluppi e il suo utilizzo sempre maggiore nel mondo del lavoro Kaplan non ha dubbi: «Nel lungo periodo sarà l’intera società a trarne beneficio, sia in termini di ricchezza che di benessere collettivo.

Già quattro anni fa il Mit pubblicava uno studio parlando della possibile scomparsa del 50% dei lavori nell’arco dei prossimi 20 anni a causa dell’intelligenza artificiale – continua Kaplan – In realtà molti di questi posti saranno semplicemente superati, mentre la maggior parte delle attività del futuro oggi non esistono ancora».

intelligenza artificiale

A fare la differenza quindi, ancora una volta, potranno e dovranno essere i singoli individui.

Fondamentale, infatti, sarà la capacità di reinventare la propria identità e le proprie capacità. Se da un lato i robot potranno andare a sostituire quelle mansioni dove non è richiesta una particolare formazione specifica, l’uomo potrà impreziosire l’azienda con la propria formazione e la propria personalità, arricchendo in modo del tutto personalizzato la propria occupazione.

Un possibile consiglio? Guardare al futuro e cominciare a ipotizzare nuove occupazioni, nuovi lavori, nuovi stimoli: investire sul proprio capitale umano. Nel giro di quindici anni, secondo i dati pubblicati dalla PricewaterhouseCoopers, il 38% dei posti di lavoro disponibili oggi negli Stati Uniti potrebbero essere occupati dai robot.

E il fenomeno riguarda anche l’Europa e l’Asia, visto che in Germania l’automazione è avviata ad eliminare il 35% dei posti, in Gran Bretagna il 30% e in Giappone il 21%. Sempre secondo il report della PwC, i settori più a rischio sono il trasporto, lo stoccaggio e il manifatturiero in generale, a differenza di tutti quei settori dove sono richiesti approcci “umani”, difficilmente riproducibili da un robot.

Bisogna ricominciare a puntare sulla propria identità, formazione e specializzazione. In Italia si è cominciato a parlare di Industria  4.0. Nell’ambito della Settimana dell’Artigianato 2017 si è dato ampio spazio alla tematica: punto di partenza il dossier “Industria 4.0 e manifattura digitale.

Guida pratica per gli artigiani e le micro imprese” di Massimo Zanardini e Andrea Bacchetti del Laboratorio Rise (Research & Innovation for Smart Enterprises). Quello che ne è stato dipinto è uno scenario in cui l’Italia si posiziona ancora come paese manifatturiero (rappresenta più del 50% del Pil), con problemi relativi alla competitività.

Questi sono dovuti ai bassi livelli di formazione di manager e imprenditori, come del personale in generale, all’anzianità delle strumentazioni utilizzate e alla presenza limitata di infrastrutture a supporto.

Questo scenario incide inevitabilmente sulla capacità delle aziende di stare al passo con un mercato in continua evoluzione.

È necessario “attrezzarsi” per differenziare la propria realtà dalla concorrenza: è qui entra in gioco il mondo del 4.0, la capacità di integrare, in modo armonico, le nuove tecnologie digitali e i nuovi approcci manageriali con le tecniche e i metodi “tradizionali” dell’impresa.

Un altro importante tema trattato è stato proprio quello relativo ai robot, ma l’artigianato ha poco di cui preoccuparsi. In un mondo sempre più “personalizzato” e personalizzabile, è difficile cedere ad una macchina il ruolo di artigiano.

La macchina potrà preparare la base, il prodotto sul quale poi, l’artista (l’artigiano) aggiungerà la sua passione, la sua originalità e la sua esperienza, rifinendo il prodotto.