Bevanda pregiata, dedicata a faraoni e divinità, il vino, sin dall’alba dei tempi, è stata una presenza ambigua nella vita dell’umanità. Amato da alcuni, bandito da altri, questo liquido ha saputo ritagliarsi uno spazio importante nel nostro vivere quotidiano, nel continuo limbo tra salute e dipendenza.

Nell’antichità il vino era sinonimo di ricchezza. Solamente i “signori” potevano vantare la presenza di questa pregiata bevanda nelle proprie tavole. Si pensi allo stesso Tutankhamon, nella cui tomba vennero lasciate numerose bottiglie di vino tra le più pregiate, arricchite addirittura da etichette con indicata la provenienza, il produttore e l’annata di produzione.

Gli antichi greci gli dedicarono una divinità, Dioniso, trasformato nel famoso Bacco dai Romani.

Proprio grazie a questa bevanda e alla scoperta delle sue proprietà benefiche, l’impero romano riuscì a diventare la potenza che fu. Si scoprì infatti che il vino era un ottimo battericida, in grado quindi di sconfiggere alcune malattie contratte dai soldati in tempo di guerra. Non è una scoperta che Cesare concedesse ai propri legionari qualche bevuta di vino al fine di debellare le malattie contratte.

Oggi non esiste tavola dove non svetti una bottiglia di vino, sia bianco o nero, liscio o frizzante, e tra i più apprezzati restano i made in Italy.

Nel 2016 le esportazioni del vino italiano nel mondo hanno raggiunto livelli di valore da record: 5,6 miliardi, il 4% in più rispetto al 2015. A trainare l’export tricolore nei primi 11 mesi del 2016 è stato soprattutto il Prosecco (+37%); a molta distanza i rossi Dop Piemonte (+2,1%) e Veneto (+2%), in flessione i rossi Dop Toscana (-4,6%) e lo spumante Asti (-4,6%).

Anche negli Stati Uniti il 2016 è stato un anno record: le cantine tricolori hanno esportato per circa 1,8 miliardi dollari (+6,1%) e con quantitativi crescenti (+4%). Il traino della crescita, anche in questo caso, è dipeso soprattutto dal Prosecco.

Tornando ai confini nazionali, le risorse stanziate dal Governo italiano, proprio in vista di una promozione del nostro vino, nel triennio 2017-2019, ammontano a 25 milioni, di cui 20 milioni per aprire il Midwest (il cosiddetto “cuore dell’America”) al made in Italy e gli altri 5 milioni per riuscire a penetrare nel quasi incontaminato mercato cinese, dove infatti il nostro vino è quasi sconosciuto.

Non è una scoperta che il padiglione Italia, organizzato da Vinitaly International, si sia dimostrato protagonista indiscusso al Wine & Dine Festival di Shangai, per il terzo anno consecutivo.

Si tratta del più importante trampolino di lancio sul mercato asiatico dell’enologia nazionale, che si è concluso lo scorso 24 Settembre. L’evento, che nel 2016 ha contato 100mila visitatori e 199 espositori da 12 Paesi, rappresenta il punto di incontro ideale per tutti i consumatori locali di fascia medio-alta.

In Italia, del resto, parlare di vino significa parlare di storia, cultura e tradizioni millenarie. Dai mari ai monti di tutto il nostro territorio, il filo comune è la vite, di tantissime varietà differenti. Non a caso gli antichi greci chiamavano il Belpaese “Enotria Tellus”, il Paese delle viti sostenute da pali”.

Da qui anche la particolare e fondamentale figura del Sommelier, la quale, diversamente da un assaggiatore, deve saper raccontare la storia attorno alla quale ruota il vino degustato, effettuarne un’analisi organolettica al fine di valutarne la tipologia, la qualità, le caratteristiche, le potenzialità di conservazione, anche in termini “lirici”.

Come già espresso da Eubulo, politico ateniese del IV secolo a.C, “Un bicchiere agli amici, due per l’amore, tre per il sonno, quattro per la battaglia”.